Roberto Riccardi

Roma non è Parigi, per fortuna della Raggi

"Votre maire a de la chance, avec la ville dans ces conditions à Paris nous aurons restauré la guillotine!". La vostra Sindaca è fortunata, con la città in quelle condizioni a Parigi avremmo ripristinato la ghigliottina. Questo il messaggio ricevuto da una amica francese che, a parte l’esagerazione sanculotta, la dice lunga sulla distanza abissale in tema di capacità di sopportazione tra i romani e gli abitanti della Capitale francese.

Per fare un esempio, al netto delle esecrabili violenze, i Gilet Gialli hanno tenuto in scacco il Paese transalpino per 18 settimane di fila, con una protesta iniziata per l’aumento di pochi centesimi sul carburante a causa dell’imposizione di una strampalata tassa ecologica. Poi ritirata a seguito della sollevazione popolare.

In Francia quando si contesta si va giù duro. In passato a Parigi i contadini hanno scaricato tonnellate di letame davanti alla sede del Governo, mentre in Bretagna hanno dato fuoco a pallet, pneumatici e verdure invendute mettendo a serio rischio il palazzo dell’Agenzia delle Entrate.

Dai massimi sistemi a quelli minimi, quando c’è da protestare in Francia la musica è sempre la stessa. Per fermare in modo rapido i problemi creati dall’invasione dei pericolosi ed inquinanti monopattini elettrici, gruppi di giovani ecologisti hanno messo in pratica la prima azione di boicottaggio dei servizi di sharing cittadino perché: "Contrariamente alla loro immagine di un modo di viaggiare morbido ed ecologico, i monopattini elettrici sono un disastro ecologico"

Li hanno mettessi fuori uso coprendo il QR code, che va inquadrato per poter utilizzare il servizio, con un adesivo difficile da staccare o con dei pennarelli neri indelebili. Poi, non contenti, hanno rincarato la dose: «Rinnoveremo questa operazione fino a quando questi giocattoli innovativi “verdi” non saranno portati fuori dalle nostre città. Chiediamo inoltre a tutti di replicare questa azione rapida ed efficace».

C’è anche chi ha scelto una strada diversa per protestare attivamente, di sicuro più efficace ma da non imitare.  A Lione i monopattini li buttano direttamente nel fiume Rodano. Una modalità spicciativa e molto in voga, al punto che tempo fa in sole tre ore ne sono stati recuperati dalle acque più di 100. La stessa procedura viene attuata in altre grandi città bagnate da fiumi, laghi o dal mare, come Marsiglia e Parigi.

Intanto, dopo la morte di Miriam Segato travolta ed uccisa su un marciapiede del lungo Senna, la Sindaca di Parigi Anne Hidalgo ha dichiarato di voler «mettere fine all’anarchia» non escludendo la possibilità di vietare i monopattini, come già accaduto a Barcellona e New York.

A Roma, invece, dove si registrano in media tre gravi incidenti al mese e dove sui marciapiedi sei addirittura costretto scavalcare i monopattini, stando ben attento a non romperti una caviglia finendo in una buca, tutti protestano ma non accade alcunché. I social sono divenuti lo sfogatoio dove si leggono centinaia di post infuocati. Ma niente di più.

Non è possibile fare paragoni con altre Capitali europee in tema di cumuli di rifiuti, di incidenti e morti per buche, o dei circa 200 autobus flambés. Sono cose mai viste all’estero. Avvenimenti più improbabili di una futura occupazione militare della Francia continentale da parte dell’esercito della Repubblica di San Marino.

Viste le energiche reazioni dei cittadini, possiamo solo provare ad immaginare cosa accadrebbe se la Sindaca di Parigi affermasse di continuo che i disastri ed il terribile degrado, registrati nei suoi cinque anni di governo, sono ascrivibili a «quelli di prima». Oppure se cercasse, come fanno gli adolescenti, risibili scuse per non ammettere le proprie responsabilità: «Non mi hanno informato, non lo sapevo, etc etc…».

Come anche risulta impraticabile il solo pensare che un Assessore ai Rifiuti di una qualsiasi nazione europea possa affermare pubblicamente che i cassonetti che traboccano, coprendo i marciapiedi di mondezza maleodorante e fonte di possibili rischi sanitari, sono il risultato di un complotto elettorale, come ha affermato la grillina Katia Ziantoni.

Perché dunque i romani baccagliano e bofonchiano ma, salvo sporadici casi, non reagiscono restando inerti con le mani in mano o, al massimo, su una tastiera? La risposta va cercata nella storia.

Roma è stata flagellata nel corso dei secoli da dozzine di alluvioni catastrofici, incendi, terremoti, pestilenze e, soprattutto, da attacchi di eserciti nemici: galli, visigoti, normanni, mercenari al soldo del Sacro Romano Impero, “liberatori” francesi ed occupanti tedeschi.

Se fosse possibile identificare nel Dna il cromosoma caratteriale che accomuna geneticamente i romani, si scoprirebbe che è il frutto del vivere da millenni in una realtà complessa e piena di avversità. Ormai hanno sviluppato “le spalle grosse”, sono tolleranti e capaci di sopportare le sofferenze. Siano queste imposte da invasori o da chi governa malamente la città.

Inoltre, il romano tipo è notoriamente “comodoso”. Sempre pronto ad imbracciare metaforicamente il fucile per poi mandare gli altri a combattere, perché lui “purtroppo” ha altro da fare. Una caratteristica che, vista con gli occhi degli iper-reattivi stranieri, ci fa apparire come se vivessimo immersi in una comoda bolla.  Così, alla luce della catastrofica situazione in cui versa Roma, i nostri atteggiamenti fin troppo pacati verso chi governa la città gli appaiono rasentare l'omertà o l’ignavia.

Eppure noi non siamo così, nei secoli abbiamo sempre dimostrato di essere dotati di un feroce coraggio, di brio e vitalità. È vero, alla lotta in mezzo alle strade preferiamo le pasquinate. Siamo maestri con l’arma dell’umorismo un po' cinico. Ricordatevi, ad esempio, quando gli islamisti dell'Isis annunciarono la loro intenzione di invadere l’infedele città del Papa.

I romani risposero postando su Twitter immagini di ingorghi stradali per mettere in guardia i miliziani dal traffico, oppure dicendogli: «Fatece sape’ a che ora arivate e quanti siete, che così buttamo a pasta».

Ora, però, è giunto il momento di reagire in modo diverso e più efficace per uscire dal baratro, utilizzando un’arma formidabile: il voto. Il nemico da stanare e sconfiggere senza pietà è l’astensione, perché come afferma un detto sacrosanto: «Chi non fa politica, la subisce». Ovvero, una volta chiuse le urne chi è rimasto inerte potrà solo abbaiare alla luna ed essere succube delle decisioni altrui.

Impegnarsi in prima persona per cambiare sul serio ed affermare le proprie idee migliorative, qualunque esse siano, è un dovere anche verso i nostri figli che ci hanno dato in prestito la Roma in cui vivranno in futuro.

La storia ci insegna che i romani si sono continuamente scrollati di dosso le catastrofi per ricostruire da zero la città, aggiungendo via via una nuova generazione di opere e monumenti. Facciamo in modo che stavolta, dopo cinque anni sciagurati, nel futuro di Roma non vi siano altre piste ciclabili temporanee, macchinette mangia plastica o fumetti con la Sindaca protagonista, ma nuove infrastrutture e più spazio per arte e cultura. Diversamente sarà meglio richiamare i Visigoti, che faranno di sicuro meno danni.

*segretario Udc Roma