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La lezione di Raffaello. Le antichità romane, la mostra sull’Appia Antica

Dal 18 settembre al 29 novembre 2020 si tiene al Complesso di Capo di Bove sull’Appia Antica la mostra La lezione di Raffaello. Le antichità romane.

L’esposizione sviluppa attraverso 29 opere tra dipinti, incisioni, libri e disegni i contenuti della lettera concepita e stesa insieme a Baldassarre Castiglione da Raffaello Sanzio (Urbino 1483-1520 Roma) per papa Leone X nel 1519.

La mostra, curata da Ilaria Sgarbozza, è promossa dal Parco Archeologico dell’Appia Antica con l’organizzazione di Electa e il sostegno del Comitato Nazionale per le celebrazioni dei 500 anni dalla morte di Raffaello. A partire dal celebre scritto – riprodotto su uno schermo che ne consente lo sfoglio e l’ascolto – le opere esposte raccontano la consacrazione internazionale di Raffaello come padre della moderna cultura della tutela del patrimonio monumentale, archeologico e artistico. Sono infatti gli allievi diretti e indiretti – tra essi l’antiquario e architetto napoletano attivo a Roma alla metà del Cinquecento Pirro Ligorio, ma in mostra anche l’esempio di Ingres – che portano a compimento i progetti ‘antiquari’ del grande artista prematuramente scomparso. I saggi pubblicati nel catalogo, edito da Electa, supportano e approfondiscono il racconto della mostra.

Il Complesso di Capo di Bove è un importante presidio dell’attività di tutela archeologica e paesaggistica, svolta dallo Stato attraverso il Ministero per i beni e le attività culturali e per il turismo. Per questo motivo è luogo adatto a ospitare la mostra che riflette sull’eredità culturale dell’Urbinate, a partire proprio dalla celebre Lettera a Leone X, caposaldo della tutela, testo di riferimento per la cultura umanistica e fondamentale lascito per gli artisti e gli architetti chiamati al confronto con il patrimonio dell’antichità. Comunicato stampa Roma, 17 settembre 2020 La Lettera a Leone X Attorno alla Lettera, proposta in modalità digitale, sono esposti diversi materiali setteottocenteschi: libri, stampe, disegni, dipinti, una scultura. È infatti tra il XVIII e il XIX secolo, dentro e fuori le accademie e le istituzioni artistiche, che il culto di Raffaello ha il suo clou. L’ammirazione – che diventa in qualche caso vera e propria venerazione – riguarda l’opera, il pensiero, ma anche lo stile di vita dell’artista, contraddistinto da libertà, affabilità ed eleganza.

Fulcro della mostra è anche un prezioso manoscritto di Pirro Ligorio (Napoli 1514-1583 Ferrara), che riproduce gran parte dei monumenti sepolcrali della via Appia, secondo il metodo proposto da Raffaello nella Lettera. La fortuna sette-ottocentesca della Lettera a Leone X La Lettera di Raffaello e Baldassarre Castiglione a Leone X, stesa tra il 1519 e i primi mesi del 1520 (Mantova, Archivio di Stato; Monaco di Baviera, Staatsbibliothek), nasce come testo introduttivo a una pianta antiquaria della città di Roma mai realizzata per la prematura e improvvisa scomparsa dell’artista. Canta la magnificenza della città, deplora l’immane perdita del patrimonio archeologico, auspica la riappropriazione e la renovatio della cultura architettonica antica; prospetta inoltre il rilievo dei monumenti esemplari, secondo un metodo ‘scientifico’, che prevede l’utilizzo di uno strumento graduato dotato di bussola magnetica e il disegno in scala di pianta, prospetto e sezione. Le opere in mostra, riunite al centro della sala, raccontano la storia sette-ottocentesca della Lettera, a partire dalla prima edizione a stampa del 1733. Essa, dopo circa due secoli di oblio, ‘rivive’ infatti nella pubblicistica italiana e internazionale, divenendo un testo di riferimento per la teoria e la pratica della conservazione.

Antiquari, storici, accademici – tra essi Carlo Fea, Antoine-Chrysostome Quatremère de Quincy, William Roscoe, Johann David Passavant – scelgono di inserirla nei loro studi eruditi o nelle biografie dedicate all’artista e ad altri personaggi della Roma del Rinascimento, presentandola come eccelso exploit intellettuale. Nel loro solco, i fratelli Franz e Johannes Riepenhausen la mettono in scena in un’incisione che fa il giro delle corti europee, qui presentata in un esemplare romano. Scultura, pittura, grafica: il mito di Raffaello nell’Ottocento Traino alla fortuna sette-ottocentesca della Lettera a Leone X è la straordinaria attualità di Raffaello come figura di riferimento della comunità artistica internazionale. L’insegnamento accademico prevede la copia e lo studio delle opere fiorentine e romane dell’urbinate, proposte come i vertici della pittura di tutti i tempi. Sono decine i disegni che un fanatico Jean-Auguste-Dominique Ingres dedica alle invenzioni raffaellesche, tra loro i due fogli in prestito dalla città di Montauban.

Percorso mostra Mostra al Complesso di Capo di Bove sull’Appia Antica Roma, 18 settembre 29 novembre 2020 Nei maggiori musei d’Europa, prima, durante e dopo l’egemonia napoleonica, i dipinti di Raffaello costituiscono il fulcro degli ordinamenti, convogliando attenzioni sul piano della tutela ma anche strumentalizzazioni politiche e propagandistiche. Fino alla metà del XIX secolo la riproduzione incisoria delle creazioni raffaellesche tiene in vita stamperie pubbliche e private, condizionando fortemente il gusto contemporaneo. A Roma Giovanni Volpato e Raffaello Morghen, tra gli altri, mettono a punto tecniche di traduzione a stampa fedelissime al linguaggio del maestro. All’alba dell’Ottocento anche la biografia di Raffaello diventa fonte d’ispirazione. Gli artisti vi riconoscono un capitolo saliente del processo di emancipazione della propria figura professionale. Tra i temi più indagati sono il rapporto con i potenti e la libertà in amore. Il legame con Margherita Luti, la cosiddetta Fornarina, offre spunti per lavorare sulle ambientazioni storiche e sulla rappresentazione del sentimento. La glorificazione di Raffaello ha uno dei suoi apici a Roma, nel 1833, quando viene aperta la sepoltura al Pantheon, alla presenza delle alte sfere pontificie e della comunità artistica. A Vincenzo Camuccini, il principale pittore della città, è affidato il compito di ritrarre le spoglie mortali del maestro, diffuse anche attraverso la litografia in mostra, incisa da Giovanni Battista Borani. Pirro Ligorio e i monumenti antichi della via Appia La mappatura e trascrizione su carta dei monumenti della Roma antica, annunciata da Raffaello nella Lettera a Leone X, è portata a compimento dagli antiquari e architetti che ne raccolgono l’eredità.

Alla metà del Cinquecento, in particolare, Pirro Ligorio (Napoli 1514-1583 Ferrara) intraprende il sistematico rilevamento, grazie alla conoscenza del materiale prodotto nella bottega dell’urbinate, e attraverso lo studio e il commento di Vitruvio e delle fonti epigrafiche, topografiche e letterarie. Ai fini della ricostruzione del vasto panorama dell’architettura romana, i monumenti funerari distribuiti lungo la via Appia offrono modelli e spunti di straordinaria consistenza. I rilievi, condotti secondo i “tre modi” annunciati nella Lettera – pianta, prospetto e sezione –, confluiscono nel Libro XLVIIII delle Antichità, elaborato tra il 1560 e il 1566, segmento di un corpus più ampio, oggi parzialmente conservato presso la Biblioteca Nazionale di Napoli. Sono 20 le sepolture indagate da Ligorio tra il II e il V miglio della regina viarum, e tra esse il Sepolcro di Cecilia Metella gode di particolare rilievo.

A queste si aggiunge il monumento a cuspidi che sorge ancora al XV miglio della via, presso Albano (il cosiddetto Sepolcro degli Orazi e Curiazi). Un solo edificio è estraneo alla sequenza delle tombe gentilizie: il “tempio di Proserpina”, parte del Triopio di Erode Attico, la cui struttura a pianta circolare riecheggia il Pantheon. Non mancano omissioni, anche eclatanti, che riguardano per lo più strutture prive di riscontri epigrafici e dunque di titolarità. Con la sua galleria di monumenti sepolcrali – accompagnata da un apparato testuale che verte sugli usi e sui costumi dei romani –, Ligorio apre la strada a successive ricostruzioni dell’immagine della regina viarum: da quelle piranesiane a quelle contemporanee, smaterializzate e in 3D.


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