Segnalazioni

L'indiferrenza, fenomeno da marziani

A seguito dei recenti fatti di cronaca nera, si dibatte tanto sul dovere di ciascun cittadino di intervenire per prevenire la consumazione di eventi nefasti; i perbenisti dell'ultima ora, quasi fossero marziani, si manifestano scandalizzati di fronte a quell'inerzia, che pur essendo moralmente biasimevole, è umanamente comprensibile, anche da chi, come il sottoscritto, non resta a guardare di fronte al pericolo e si espone in prima persona.

In questa sede, per rispetto al dolore delle vittime, non intendo fare alcuna correlazione con i tragici eventi, frutto di scellerate azioni criminose. Il racconto di fatti decisamente meno gravi è emblematico di quanto la collaborazione con le Forze dell'Ordine e con i pubblici ufficiali in genere, in Italia, non sia sempre agevole, e da ciò scaturisca una loro percezione, diversa da quella che ne hanno i cittadini di altri Paesi comunitari.

Nel nostro Paese, le "divise" sono spesso percepite come avversari, anziché come dipendenti al servizio della Nazione (ossia di tutti i contribuenti), come costituzionalmente sancito.

Veniamo ai fatti.

La linea ferroviaria tirrenica Torino-ROMA, nelle ultime settimane, ha registrato numerose disfunzioni, che hanno comportato soppressioni e ritardi di diverse ore: il 25 maggio, un furto di rame nei pressi di Trofarello; il 7 giugno, l'investimento di una persona presso la stazione di Torreinpietra ed il 9 giugno, sul tratto Grosseto-ROMA, si è fatto ambo, con il maltempo al mattino ed un presunto guasto tecnico al pomeriggio.

In tutti i casi, ha sorpreso l'impreparazione delle Autorità competenti a gestire adeguatamente situazioni di emergenza, per fortuna, non gravissime.

Limitando la narrazione ai fatti dell'ultima settimana, è stato mortificante, nel pomeriggio di martedì 7, assistere, alla stazione di Maccarese, all'incapacità di Trenitalia e delle Forze dell'Ordine di gestire il trasferimento con bus navetta delle centinaia di viaggiatori, da Maccarese a Ladispoli e viceversa, mentre si svolgevano i doverosi accertamenti giudiziari sull'accaduto.

Una decina, tra poliziotti e carabinieri, quasi fossero Mosè, pretendevano di selezionare, a decine di metri di distanza, le donne, i bambini e gli anziani, che sarebbero dovuti montare a bordo, dopo esser transitati tra una folla esausta per i ritardi e per l'estenuante attesa sotto il sole cocente. Inutile dire che a ridosso delle porte dell'unico bus, costituente il "servizio di navetta" preannunciato da Trenitalia nelle stazioni di origine dei treni, si ammassava una folla inferocita.

Quando gli animi esasperati, anche per effetto delle minacce subite («se non assumete la distanza di sicurezza [n.d.r.: indefinita] dal bus rimarrete qui, fino a stasera»), iniziavano a surriscaldarsi, proposi agli agenti, lontano dalla folla, di assumere due accorgimenti: procedere a creare dei contingenti di 50 persone, prima dell'arrivo della navetta, in modo che lo scarico ed il carico della stessa avvenisse in sicurezza, e, considerato lo stato di necessità, far salire a bordo un numero di viaggiatori superiore al numero di posti a sedere.

Un appuntato dei Carabinieri, per tutta risposta, con atteggiamento minaccioso, anziché badare al contenimento dell'inquietudine della folla, pretese i miei documenti per identificarmi; non contento, dopo aver urlato pubblicamente il mio cognome, si rifiutò di fornirmi il suo numero di matricola. Fui definito sobillatore e mi fu paventato l'arresto (per quale reato?).

Paradossalmente, sulla mia navetta molte persone viaggiarono in piedi, in spregio all'articolo di Legge, che quell'appuntato, pur non essendo in grado di individuarlo nel Codice della Strada, lo aveva dichiarato inviolabile ed inderogabile.

E veniamo al secondo episodio, risalente al 9 giugno.

Intorno alle 15:38, alla stazione di ROMA Ostiense, in attesa del Regionale 12252 delle 15:52 per Civitavecchia, ho notato un tizio, che dopo aver improvvidamente attraversato i binari, procedeva barcollando verso il fondo della pensilina, con rischio di cadere.

Memore degli eventi di due giorni prima, intervenni ed insieme ad un altro viaggiatore, che ho poi scoperto essere un poliziotto fuori servizio, riuscimmo, riuscimmo a far desistere quell'ubriaco dai suoi insani intenti, conquistando la sua fiducia, e lo convincemmo a seguire gli agenti della Polizia ferroviaria, dopo averlo rassicurato che non gli avrebbero fatto nulla di male, ma anzi avrebbero provveduto al suo benessere.

Ringraziati dai quattro agenti, salimmo sul treno, sul quale iniziammo ad intrattenerci con il capotreno. Da ROMA San Pietro in poi, il nostro treno iniziò a ritardare le ripartenze. Il capotreno, innanzi a noi, in contatto con la sala operativa, si prodigava nell'acquisizione dei motivi del protrarsi delle soste e provvedeva a tenere informati tutti i passeggeri, con annunci vocali.

Alla stazione di Maccarese, la sosta si prolungò oltre ogni tollerabilità e le giustificazioni fornite si manifestarono infondate: non risultavano credibili i guasti tecnici alla stessa linea sulla quale sfrecciavano i treni ai quali davamo precedenza.

Un folto gruppo di turisti stranieri rischiando di perdere l'imbarco previsto a Civitavecchia, alle ore 18:00, sulla nave da crociera, dalla quale erano scesi la mattina per una breve visita a ROMA, iniziò a chiedere certezze sull'orario di arrivo.

Il capotreno si rese conto che la situazione stava precisando e, scambiandoci entrambi per poliziotti, chiese che lo scortassimo fino alla testa del treno, mentre cercava di placare gli animi.

Al sopraggiungere di un treno regionale, alcuni passeggeri scesero su binari. A quel punto, il capotreno, consapevole della gravità della situazione, propose alla sala operativa di disporre la fermata eccezionale dell'altro treno, per consentire la prosecuzione del viaggio a tutti e consentire ai tanti turisti stranieri di giungere a Civitavecchia per tempo.

Gli fu negata ogni richiesta, persino quella subordinata di ottenere l'invio della Polizia, perché i "due poliziotti", che lo stavano supportando, avevano già invitato alla calma, ma non avrebbero potuto fare molto, se la situazione fosse ulteriormente degenerata.

Sembra incredibile, ma chi stava, in ufficio, senza correre alcun rischio gli rispose di raccontare qualcosa per tenere calmi gli animi. A quel punto, il capotreno comprese che era stato abbandonato a se stesso, in balia degli eventi. Io, che avevo necessità di arrivare a destinazione, e stavo subendo un grave pregiudizio dalle scelte degli operatori ferroviari (Trenitalia o Rete Ferroviaria Italiana, poco importa il nome), vincendo l'istinto di scendere anch'io sui binari, sentii il dovere morale di continuare a dare supporto ad un lavoratore abbandonato dal suo datore di lavoro. Nel contempo, vidi un altro lavoratore, il macchinista del treno in transito, che se avesse investito qualcuno ne avrebbe patito ogni conseguenza, compresi i rimorsi di coscienza.

Colui che stava a dirigere il traffico, insensibile delle sorti di migliaia di persone, invece, l'avrebbe fatta franca.

L'altro passeggero, mio compagno di avventure, riuscì a convincere gli occupanti a sgomberare ed il regionale, costretto a procedere a passo d'uomo, sfilò davanti a chi ancora sperava che si sarebbe fermato. Per incanto, subito dopo, il "guasto tecnico sulla linea" si risolse e riprendemmo il viaggio: ciò palesò la beffa subita ed acutizzò qualche rimorso in coloro che non erano scesi sui binari a dar man forte agli "intepidi".

Poco prima di arrivare a Marina di Cerveteri, appresi da altri passeggeri che quello stesso capotreno, che quando iniziammo la conversazione si lamentò per i danni subiti dalle pratiche commerciali scorrette di taluni operatori finanziari, aveva, preteso da alcuni dei turisti stranieri, che si sarebbero dovuti imbarcare a Civitavecchia, il diritto di convalida a bordo del biglietto, nonostante essi stessi si fossero spontaneamente a lui presentati per la regolarizzazione del titolo di viaggio, non obliterato per veri guasti tecnici alle apposite macchinette e per la fretta di salire sul treno.

Sentii il dovere di parlargli, a tu per tu, rappresentandogli che l'esborso imposto a quei turisti era ingiusto sia perché essi erano regolarmente muniti di biglietto appena comprato, sia perché essi stavano subendo un grave danno dal sistema ferroviario italiano. Dopo qualche ulteriore accenno di rigida formalità, pur sostenendo di non poter restituire quanto riscosso, ha convenuto che quegli anonimi turisti, non conoscendo le norme italiane, scesi dal treno, non avrebbero mai richiesto un rimborso o un indennizzo e quindi si impegnò a riattraversare il treno, da testa a coda, per dare a loro le istruzioni, necessarie per presentare rituale reclamo a Trenitalia.

Non ho potuto sincerarmi del rispetto dell'impegno assunto, ma spero che, avendo preso atto che la vita è una ruota, ognuno deve astenersi dal generare ingiustizie se non vuole esserne vittima e colui che si lamenta di quelle subite dovrebbe essere più attento a non esserne genitore di altre.

Spero che le mie parole siano anche servite, per far cessare, quanto meno nella sua individuale condotta, la prassi, già più volte denunciata, dei controllori di Trenitalia di far cassa a spese dei turisti, che non dovrebbero essere vessati, ma dovrebbero essere considerati la risorsa nazionale più preziosa.

Trenitalia che ha abbandonato il suo dipendente dovrebbe ora avere il coraggio di privarsi di quei pochi miseri Euro, illegittimamente incassati, per restituirli ai legittimi proprietari, facilmente individuabili prendendo come riferimento la nave in partenza da Civitavecchia alle 18.

Con un piccolo gesto, si potrebbe recuperare l'immagine di Paese ospitale e turistico che illusoriamente vogliamo vendere all'estero.

In conclusione, la morale.

Anziché indignarci per l'indifferenza altrui, dovremmo incrementare il nostro civismo e farci partecipi delle criticità collettive, cercando di dare soluzione; allo stesso tempo, ognuno di noi, dovrebbe avere la forza di abbandonare l'esercizio bieco del proprio ruolo ed iniziare a considerare chi ha di fronte come la propria immagine riflessa.

Non sono la divisa o la potestà a risolvere le criticità, bensì i singoli individui che con il buon senso, il dialogo e l'umanità possono venire incontro alle altrui esigenze.

Siamo tutti cittadini, quindi finiamola di renderci partecipi di un sistema che ci pone uno contro l'altro.

Questo Paese non cambierà mai, se chi ricopre un ruolo pubblico, indossando o non indossando una divisa, non si spoglia dello spirito prevaricatore, non rinuncia all'uso della dotazione istituzionale per "essere qualcuno" e non sceglie di indossare le autentiche vesti del "servitore della collettività


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