Segnalazioni

Vita dura per i portatori di handicap nelle metro di Roma

Essere persone disabili in questa città, capitale, è difficile. So di non essere nelle condizioni disperate di una persona in sedia a rotelle, che semplicemente trovano ostruiti o allagati i varchi per scendere dai marciapiedi, ma la mia salute non mi permette di potermi muovere come una persona ‘normale’. Malata di cancro, stomizzata e perennemente in lotta con gli orari folli che ci impone questa città, fatta di bus che non passano, che passano in ritardo, fatta di metro troppo piene, fatta di tanta maleducazione e di inciviltà che la metà basta e avanza. Cronaca di un lunedì mattina. Un po’ di sole dopo due giorni umidi e piovosi; temperature basse…ma siamo a febbraio, è normale. Si scende nel ventre di piazza Malatesta dove la futuristica linea C della metropolitana passa ogni 15 minuti (se va bene). Nel display si annuncia un’attesa di 14 minuti in direzione San Giovanni. Poco male: sono in orario. Si arriva giù, con calma. I minuti sono diventati 9. Si cerca un posticino appartato per appoggiarsi al muro. Arriva il treno. Strapieno, ma nel vagone dedicato ai disabili si vede un po’ di spazio. Si entra, ma si resta appiccicati alle porte, si respira appena. Due donne con la bici occupano un po’ troppo spazio, prezioso a quest’ora del mattino in cui si muovono lavoratori e studenti. Ma è loro diritto portare le bici su quel vagone. Di sedersi nemmeno il pensiero. È capitato che riuscissi a raggiungere i sedili riservati ai disabili, ma come dimostrare di esserlo? La gente ti ride in faccia se umilmente indichi il logo del posto riservato. E non si alza. Si arriva a San Giovanni. Solita massa di persone che si precipita sulle DUE scale mobili che portano in superficie. Di ascensore non se ne parla: o non funziona, o si blocca, o ci sono talmente tante persone che si rischia di rimanere bloccati lì sotto. Guadagno uno scalino sulla scala mobile e si arriva a metà percorso. La seconda scala mobile non funziona, non era segnalato, o, se lo era, è sfuggito a tutti. Non si può tornare indietro, niente ascensore. Si fa a piedi, tra gli spintoni di chi ha fretta e gli sbuffi di chi sta dietro e non capisce che la persona che hanno davanti non può correre più di tanto sulle scale. Finalmente arrivo, mi gira un po’ la testa, riprendo fiato in un angolino, per non rallentare la corsa di nessuno. Mi viene da piangere, ma nessuno nota il disagio. Mi rimetto in cammino e faccio la fila per rientrare nella metro, linea A questa volta. Si riscende e il treno è lì, strapieno, di nuovo. Mi ritaglio un piccolo spazio: per una sola fermata posso ancora farcela. Stazione di Manzoni, scala mobile funzionante per fortuna, ma ascensore per il piano strada fuori servizio. Arrivo in ufficio affaticata. Scoppia la stomia. Torno a casa a cambiarmi. Fine della giornata. Teresa