Ottavia

Palmarola, il viaggio tra richiedenti asilo e rifugiati: "Tante storie e voglia di raccontarsi"

Il centro Sprar, ventisette gli ospiti, è finalizzato all’integrazione sociale ed economica. La coordinatrice racconta a RomaToday: "Scappano da guerre o anche dalle famiglie, spesso i propri cari sono i carnefici. Il loro sorriso è la nostra forza"

Il lavoro dei bambini ospiti del centro

Sono ventisette: dodici bambini, cinque uomini e il resto donne. Sono gli ospiti dello Sprar di via Linarolo, zona Palmarola, centro finalizzato all’integrazione sociale ed economica di richiedenti asilo e rifugiati. Provengono dalla Costa d’Avorio, Ucraina, Albania, Nigeria, Libia. Ognuno ha una sua storia. A spiegare a RomaToday la mission del centro ci ha pensato Flaminia Turchetti, la coordinatrice della struttura mentre la Fraterna Tau è la onlus aggiudicataria del progetto: “Ci sono esperienze e spaccati profondi. C’è chi fugge dalla guerra, chi per motivi religiosi, chi dalle famiglie. Spesso i propri cari scendono a compromessi e diventano i veri carnefici. Chi arriva qui, lo vedi che ha voglia di parlare e di spiegare cosa porta dentro. Non per impietosire ma per condividere insieme agli altri la propria vita”

L’equipe del centro

L’equipe del centro è composta da quattro persone: una psicologa, un’assistente sociale, una responsabile del settore scolastico e una responsabile sia dell’orientamento al lavoro che della formazione. “Inoltre – ha continuato Flaminia Turchetti – ci si avvale di supporti di legali e di servizi sul territorio che spesso non si conoscono, che variano dall’assistenza alle donne per la prevenzione sessuale, alle scuole di italiano messe a disposizione di mamme che hanno bimbi tra i tre e cinque mesi, ai doposcuola organizzati dalle associazioni, ai servizi di volontariato per agevolare i genitori nella gestione dei bambini, al progetto Save your smile organizzato gratuitamente dai dentisti. Gli ospiti – ha proseguito – hanno delle problematiche psicologiche o di vulnerabilità fisiche. Il nostro compito è quello di individuarle e di avviare il migliore percorso possibile, affinché l’integrazione vada a buon fine. Chi sta all’esterno, deve sapere questo. Sennò, se si ha paura, resta solo il sentimento di reticenza”.

La giornata tipo nel centro

La giornata tipo nel centro ha degli schemi ben delineati: “Inizia presto – ha puntualizzato – è importante far combaciare gli orari delle mamme e dei bambini. Grazie alla collaborazione del Municipio XIV, sia delle istituzioni che delle associazioni e dei privati, siamo riusciti a inserire i piccoli in un centro estivo, dove restano fino al primo pomeriggio. Le donne, alcune, curano la casa. Le altre seguono tirocini oppure hanno degli impieghi”

La vita fuori dal centro

C’è infatti una vita anche fuori dal centro. Per esempio, un ospite segue un tirocinio come aiuto cuoco. Due sono manovali, una mamma segue dei corsi on line per ottenere la qualifica di operatrice socio sanitaria, visto che nel suo paese di origine era una infermiera. Un’altra, per esempio, è tirocinante da Ikea mentre una signora sta cercando una occupazione in una ditta di pulizie. 

La voglia di comunicare

Il momento più toccante, più intenso se vogliamo, è quando operatori e ospiti si trovano insieme. “È impressionante la voglia di comunicare che hanno. Un tentativo, questo, che diventa necessario per conoscerci e per consolidare i rapporti interpersonali – ha evidenziato Turchetti – alla fine il mondo dello Sprar è uno scambio. Raramente ho visto lacrime: questo perché hanno acquisito una sorta di distacco, ciò non significa che non soffrano o che abbiano dimenticato le loro esperienze, alcune delle quali brutali. A livello di comunicazione – ha aggiunto la coordinatrice del centro –  quando arrivano sembra che non ti ascoltino. Una cosa comprensibile: scappano dal loro paese, il viaggio può durare mesi come un anno”.

L’obiettivo dello Sprar

L’obiettivo dello Sprar è quello di seguire un punto, l’accoglienza integrata: “Queste due parole insieme uniscono i punti di ciò che facciamo. La permanenza nel centro ha una durata di sei mesi prorogabili fino ad altri sei. La proroga avviene in accordo con l’ufficio immigrazione: bisogna valutare i motivi, se sia necessario un maggiore supporto all’autonomia oppure se l’ospite stia finendo un percorso di formazione. Queste persone parlano inglese o francese. Ma ci sono pure gli analfabeti: in tal caso serve un mediatore. La soddisfazione più grande? Il loro sorriso è la nostra forza – ha terminato – un bimbo, per esempio, dopo pochi giorni di permanenza era insieme alla mamma: quando mi ha visto, mi è corso incontro per abbracciarmi. Una donna, come segno di riconoscenza, ci ha preparato un cous cous di verdure. Noi andiamo avanti e speriamo che chi sta fuori capisca ciò che svolgiamo, una vera integrazione a 360 gradi. Afferrando ciò, è possibile abbracciare le potenzialità di questo sistema”. 


Si parla di